Studio Legale Carozzi

di Rolando Dubini, avvocato del Foro di Milano, Presidente di OdV 231 di grandi enti

Si può configurare una responsabilità penale per i membri degli ODV sulla scorta dell’art. 40 co. 2 del codice penale, ai sensi del quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Si pensi ad un ODV che, informato di una grave carenza in materia di sicurezza, rimane totalmente inattivo” (Raffaele Guariniello).

1. La Responsabilità penale dei componente dell’organismo di Vigilanza 231

La sentenza della Cassazione Penale, Sez. 1, ud. 20 gennaio 2016 (dep. maggio 2016), n. 18168 si è occupata della responsabilità penale dell’Organismo di vigilanza 231 per la prima volta in Italia, per quel che riguarda il profilo doloso.

I fatti riguardano un incidente, avvenuto nel corso del lavoro di ammagliatura nei cantieri navali di Monfalcone, che causava una grave invalidità ad un operaio, a motivo di due tubi i quali si sfilavano dal carico che una gru stava sollevando e cascavano sull’ammagliatore medesimo; il processo veniva instaurato nei confronti di una quantità di soggetti a diverso titolo: una parte del processo stesso aveva una suo primo esito nel merito con l’iniziale sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e concerneva i soggetti oggi interessati, componenti del Consiglio di Amministrazione e dell’Organismo di Vigilanza della Fincantieri Cantieri Navali spa

Ne conseguiva il giudizio per numerosi imputati e per diverse imputazioni (omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, lesioni personali colpose ed altro ancora), e si imputava ex art. 437 cod.pen. ai componenti del Consiglio di Amministrazione della “Fincantieri Cantieri Navali spa” di avere omesso di collocare apparecchi idonei al sollevamento dei materiali a mezzo gru o di averne messo in numero insufficiente, e segnatamente appositi accessori quali baie o ceste idonee al carico dei materiali sulla nave; inoltre si imputava ai sensi dell’art. 437 cod.pen. ai componenti dell’Organismo di Vigilanza di “Fincantieri Cantieri Navali spa” “di avere omesso di segnalare al consiglio di amministrazione e ai direttori generali e di non aver preteso che si ponesse rimedio ad una serie di carenze in tema di prevenzione dagli infortuni che venivano segnalati nei report in tema di sicurezza all’interno del cantiere, i quali ripetevano da tempo la mancanza di impianti, apparecchi e segnali, ma che l’Organismo di Vigilanza avrebbe recepito passivamente, senza segnalare alcunché al datore di lavoro, e, al contempo, non approfondendo gli aspetti di gestione delle attrezzature di lavoro e l’utilizzo di apposti accessori quali baie o ceste”.

La sentenza del GUP del tribunale di Gorizia dichiarava il non luogo a procedere, assolvendo i componenti di CdA e OdV 231.

La difesa dei componenti dell’OdV 231 ha sostenuto che “l’art. 437 cod.pen. punisce soltanto coloro che avevano l’obbligo giuridico di adottare cautele, obbligo che non incombe sul detto organismo in quanto non datore di lavoro, ma soltanto organo – di istituzione facoltativa – preposto alla valutazione dell’architettura astratta di presidi e controlli e non anche alla vigilanza puntuale e quotidiana delle modalità di svolgimento delle attività”.

Per altro verso la difesa ha concluso sostenendo che “sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni”, parimenti “ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi”.

Mentre il PM ricorrente ha ribadito “che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze”, ponendo dunque al centro dell’attenzione l’elemento psicologico del reato.

Occcorre premettere che la decisione della Cassazione che conferma l’assoluzione non rappresenta una adesione alle tesi difensive, ma si muove su un profilo diverso in particolare per quanto riguarda l’OdV 231.

Non viene infatti considerata valida la tesi difensiva per la quale l’OdV 231 non avrebbe potere impeditivo, che non viene in alcun modo confermata.

Si sostiene invece, in modo del tutto diverso, che “desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.
Parimenti, occorre prendere atto che il ricorso non precisa quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, il ricorso afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi [il Procuratore della Repubblica di Gorizia sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze]”.

La difesa ha concluso per il rigetto del ricorso insistendo, in particolare, sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi nel caso specifico, ma la Cassazione non avvalla la tesi di una mancanza in via generale di poteri impeditivi da parte dell’odV laddove sottolinea che l’accusa non ha dimostrato quali carenze e manchevolezze sarebbero state “dolosamente ignorate” dall’organismo di Vigilanza 231; ha rammentato che il processo prosegue nei confronti di altri soggetti, gravati dall’accusa di lesioni personali colpose”.

Come scrive in modo pertinente Roberto Grisenti: “qualcuno ha scritto che “tale giudizio si basa sul fatto che si ritiene incongruo attribuire responsabilità ad un soggetto (l’Organismo di Vigilanza) che non è dotato di poteri impeditivi autonomi tali di poter intervenire sulle modalità di conduzione dell’impresa.”, ma questo non è quello che sostiene la Cassazione, questa era la tesi difensiva NON accolta dalla Cassazione. Secondo la Suprema Corte il Ricorso dell’Accusa “non precisa quali fossero le carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza”, lasciando così intendere che è perfettamente ipotizzabile una situazione nella quale l’OdV ignori dolosamente carenze e manchevolezze”.

Le funzioni affidate all’O.d.V. sono, proprio, quelle di prevenzione ed impedimento (indiretto) dei reati, e che tale obiettivo sia perseguito con l’attuazione dei Modelli di organizzazione e gestione“.

L’Organismo di Vigilanza può essere sia chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p., a titolo di concorso omissivo (ex art. 110 c.p.) nei reati commessi dai soggetti apicali o sottoposti nell’interesse o a vantaggio dell’ente. Appare evidente che gli artt. 6 e 7, d.lgs. 231/2001 fondano una «macroposizione di garanzia collettiva», che si trasmette ai titolari di posizioni direttive o di controllo; la ridistribuzione della responsabilità fra persone fisiche ed enti per gli illeciti penali commessi nell’esercizio dell’impresa incide e si ripercuote sui criteri di imputazione individuali. Cfr. in tal senso Iannini e Armone Responsabilità amministrativa degli enti e Modelli di organizzazione aziendale, 94 ss., Roma, 2005, i quali ritengono che «la configurabilità di un obbligo giuridico di impedire l‘evento non può essere esclusa in radice», richiamando l’importanza della valutazione dell’elemento psicologico del reato.

Dunque l’ODV vigila sui modelli e questi sono finalizzati a prevenire i reati, l’obbligo giuridico non può essere escluso in radice: “potrebbe risultare decisivo, oltre all’elemento soggettivo, il raffronto tra la procedura prevista nel modello per la prevenzione del reato e la concreta condotta criminosa: quanto più il protocollo avrà una sua specifica funzione preventiva di una certa condotta e quanto più tale condotta si avvicini alla condotta criminosa concreta, tanto più potrà dirsi che tale condotta è causalmente collegabile all’omessa vigilanza sul rispetto del protocollo” (Iannini – Armone).

In quest’ottica, la fonte dell’obbligo di impedire l’evento potrebbe ravvisarsi negli artt. 6 lett. a), b) e d) e 7 d. lg. 231/2001: la posizione di garanzia dei componenti l’ODV risiederebbe direttamente nei modelli di organizzazione e gestione e verrebbe assunta in forza del contratto, in particolare del contratto di lavoro con la società (Gargani).

La posizione di garanzia in capo all’OdV parte dal presupposto che le funzioni ad esso affidate sono dirette alla prevenzione e all’impedimento dei reati, seppure in via indiretta e a un livello secondario rispetto alla quotidiana operatività dell’ente (esattamente come accade per il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione nell’ottica di sicurezza e igiene del lavoro di cui al D.Lgs. n. 81/2008; funzione questa prefissa anche mediante l’adozione e la effettiva attuazione del MOG (modello di organizzazione e gestione- Modello 231).

In effetti tale tesi andrebbe a ricavare la fondatezza della posizione di garanzia proprio dal MOG, venendo assunta in base ad un contratto che implica lo svolgimento di funzioni di vigilanza capaci indirettamente di impedire in alcuni casi il fatto illecito, ai sensi degli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 81/2008.

In merito è ravvisabile in capo ai componenti dell’organismo di vigilanza una responsabilità per reato omissivo improprio. Tale istituto è disciplinato dall’art. 40 comma 2 c.p., in forza del quale il non impedire un evento equivale a cagionarlo.

L’operatività di tale clausola di equivalenza è subordinata a tre condizioni: a) la condotta omissiva, b) il verificarsi dell’evento non impedito, c) la sussistenza di una sostanziale posizione di garanzia avente fonte legislativo o contrattuale che impone al soggetto di attivarsi per impedire l’evento.

L’art. 40 comma 2 c.p. sarà dunque applicabile nei confronti dei componenti dell’organismo di vigilanza solo se gli stessi vengono considerati in posizione di garanzia, ossia se in capo ad essi sussiste un obbligo di attivarsi in modo da impedire l’evento reato. Ovvero gli obblighi dell’OdV 231 di cui agli articoli 6 e 7 del D.Lgs. n. 81/2008.

Con riferimento all’eventuale insorgere di una responsabilità penale in capo all’Organismo in caso di commissione di illeciti da parte dell’ente a seguito del mancato esercizio del potere di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del Modello, Confindustria si esprime in senso negativo: “tale situazione non muta con riferimento ai delitti colposi realizzati con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Anche in questo caso l’Organismo di vigilanza non ha obblighi di controllo dell’attività, ma doveri di verifica della idoneità e sufficienza dei modelli organizzativi a prevenire i reati“. A parte il fatto che non si capisce bene il senso di questa distinzione, anche i doveri di verifica, se omessi, rappresentano una posizione impeditiva di garanzia non adempiuta e capace di prevenire l’evento illecito, ma questa posizione è in contrasto con gli articoli 40 e 43 c.p. che prevedono la responsabilità penale colposa di chi possiede poteri impeditivi dell’illecito penale (reato presupposto), e la funzione di vigilanza dell’OdV rappresnta una funzione impeditiva, in quanto le segnalazioni che esso è obbligato a inviare all’organismo dirigente aziendale in caso di in osservanza del modello organizzativo sono idonee e finalizzate proprio a prevenire i reati.

Il ragionamento a tal riguardo si desume dalle seguenti sentenze, relative anche alla posizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, figura per molti versi analoga a quella dell’OdV 231.

I titolari della posizione di garanzia [ovvero i soggetti imputabili penalmente per avere omesso di eserciate il proprio potere di impedire i reati, anche in modo indiretto artt. 43 e 40 c.p.] devono essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi.

Il che non significa che dei poteri impeditivi debba essere direttamente fornito il garante, è sufficiente che gli siano riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari per evitare che l’evento dannoso venga cagionato, per la operatività di altri elementi condizionanti di natura dinamica. E di tali mezzi l’OdV 231 è fornito tanto quanto l’Rspp, anzi perfino in misura maggiore, disponendo di un proprio budget a supporto dell’attività di vigilanza. In conclusione può affermarsi che un soggetto è titolare di una posizione di garanzia, se ha la possibilità, con la sua condotta attiva di influenzare il decorso degli eventi indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene giuridico da lui preso in carico [Cassazione Penale, Sez. 4, 04 novembre 2010, n. 38991 (Montefibre)]

Secondo la Cassazione “…«occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie» [Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2006, n. 11351]. Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato, o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo”. Peraltro, “il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione è…esente da responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione delle norme di puro pericolo, qualora agisca come tale, ma non se il datore di lavoro lo investa di delega, ne faccia, ai fini prevenzionali o a determinati fini prevenzionali, il proprio alter ego, assumendo il delegato, in questo caso, gli stessi oneri del datore di lavoro e, quindi, le stesse, eventuali, responsabilità”…“con tutte le conseguenze in tema di procedibilità di ufficio” [Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2006, n. 11351]

La legge “prevede la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica. La … normativa … comporta … che il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione [Cassazione – Sezione quarta penale – sentenza 6 dicembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6277 Presidente Morgigni – Relatore Licari Pm Febbraro – conforme – Ricorrente Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bolzano].

C’è dunque un parallelismo perfetto tra posizione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione e i componenti dell’Organismo di Vigilanza 231, in entrambi i casi la posizione di garanzia penalmente rilevante ai fini della configurabilità della responsabilità penale insorge non per la presenza di un potere impeditivo diretto, ma bensì indiretto, nel caso di colpa, per non aver segnalato quanto in base agli obblighi di legge previsti rispettivamente dall’art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008 e dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 231/2001 sono tenuti a fare, mettendo in moto il meccanismo attuativo che potrebbe impedire gli eventi illeciti.

Giova qui segnalare una tesi più “timida”, per la quale il problema dell’applicabilità dell’art. 40, comma 2, c.p. si pone soltanto in presenza di una delega dell’organo amministrativo all’Organismo di Vigilanza di incisivi poteri di intervento che rappresentino «poteri di reazione (in particolare impeditivi) nei confronti di comportamenti irregolari o illeciti» (Semeni, Alessandri, Gargani).

In ogni caso, scrive il Petrillo “ il mancato adempimento delle funzioni dell’Organismo di Vigilanza, il cui corretto svolgimento costituisce uno dei presupposti necessari per l’esonero dell’ente dalla responsabilità amministrativa, potrà determinare una responsabilità civile e disciplinare ai fini 231 per il soggetto interno (i.e. la diffida al puntuale rispetto delle previsioni del Modello; la revoca dell’incarico) ed esclusivamente un’azione di responsabilità civilistica nei confronti del componente esterno“.

2. Cassazione Penale, Sez. 1, ud. 20 gennaio 2016 (dep. maggio 2016), n. 18168

La sentenza in sintesi (estratti testuali).

Per la configurabilità del reato di cui all’art. 437 cod.pen. (omessa collocazione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro), il pericolo presunto che la norma in esame intende prevenire non deve necessariamente interessare la collettività dei cittadini o, comunque, un numero rilevante di persone, potendo esso riguardare anche gli operai di una piccola fabbrica, in quanto questa norma prevede anche il pericolo di semplici infortuni individuali sul lavoro e tutela anche l’incolumità dei singoli lavoratori; per quanto riguarda l’elemento psicologico del reato in questione, è sufficiente la coscienza e volontà di omettere le cautele prescritte, nonostante la consapevolezza del pericolo per l’incolumità delle persone (Sez. 1, n° 11161 del 20.11.1996, Rv 206428).

È discutibile che le baie o ceste possano considerarsi uno degli “apparecchi” menzionati dall’art. 437 cod.pen.: tra le ipotesi delittuose previste dalla citata norma rientrano l’omissione dolosa di una apparecchiatura infortunistica o l’omissione del ripristino della stessa che, per precedente manomissione, abbia perso la sua efficacia di prevenzione. Sul punto questa Corte ha ritenuto che entrambe queste omissioni frustrano in egual misura e senza differenziazione di sorta il funzionamento di macchinari in relazione alla finalità antinfortunistica cui essi sono predisposti, rendendo possibile il verificarsi di un infortunio che sarebbe, per contro, impossibile in caso di normale funzionamento delle apparecchiature antinfortunio realizzate e poste sulla macchina stessa (Sez. 1, n° 28859 del dì 11.06.2009, Rv 244297) [fattispecie relativa ad un incidente, avvenuto nel corso del lavoro di ammagliatura nei cantieri navali di Monfalcone, che causava una grave invalidità ad un operaio, a motivo di due tubi i quali si sfilavano dal carico che una gru stava sollevando e cascavano sull’ammagliatore medesimo; il processo veniva instaurato nei confronti di una quantità di soggetti a diverso titolo: una parte del processo stesso aveva una suo primo sbocco nella sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e concerneva i soggetti oggi interessati, componenti del Consiglio di Amministrazione e dell’Organismo di Vigilanza della Fincantieri Cantieri Navali spa].

Tuttavia in caso di infortunio lavorativo causato dal mancato utilizzo di ceste per la sollevazione di tubi inox a mezzo di gru potrebbe prospettarsi la questione circa la natura – antinfortunistica o meno – delle ceste medesime e circa l’eventuale responsabilità del mancato utilizzo.
Qualora però risulti che le ceste in questione siano presenti nel cantiere navale, questo fattore assume un’efficacia dirimente.
Infatti, se le ceste non erano mancanti, l’utilizzo o meno delle stesse non attiene affatto al profilo della omessa collocazione di strumenti, apparecchi o congegni adeguati, ma soltanto al profilo organizzativo del lavoro concreto svolto nel cantiere navale.

Se le ceste sono presenti nel cantiere in quanto fornite dalla componente datoriale, spetta eventualmente ai soggetti responsabili di unità operative disporne l’utilizzo e che, se le suddette ceste fossero state impegnate al momento della lavorazione che è stata alla base dell’infortunio de quo, allora l’operazione doveva essere differita del tempo sufficiente a reperirne altre., e non al datore di lavoro o all’Organismo di vigilanza 231.

Nel reato di cui all’art. 437 cod.pen. il pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro deve avere il carattere della diffusività, nel senso che l’insufficienza deve avere l’attitudine di pregiudicare, anche solo astrattamente, l’integrità fisica delle persone gravitanti attorno l’ambiente di lavoro.

L’omissione, la rimozione o il danneggiamento doloso degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro, si inserisce in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici deve avere l’attitudine, almeno astratta, anche se non abbisognevole di concreta verifica, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, intesa come un numero di lavoratori o, comunque, di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro: ma lo stabilire quando una collettività lavorativa realizzi in concreto la configurabilità del delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro costituisce un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, come appunto nel caso di specie (Sez. 1, n° 6393 del 02.12.2005, Rv. 233826).

Desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.
Parimenti, occorre prendere atto che il ricorso non precisa quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, il ricorso afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi [il Procuratore della Repubblica di Gorizia sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze. La difesa ha concluso per il rigetto del ricorso insistendo, in particolare, sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi [in relazione a detti obblighi, non in via generale n.d.r.]; ha rammentato che il processo prosegue nei confronti di altri soggetti, gravati dall’accusa di lesioni personali colpose [Fattispecie: In data 13.12.2010 si verificava un infortunio sul lavoro nel cantiere navale di Monfalcone, di proprietà “Fincantieri Cantieri Navali spa”: l’infortunato era un operaio con mansioni di ammagliatore, il quale doveva agganciare i materiali da issare a bordo di una costruzione navale (in particolare, un fascio di tubi inox che dalla banchina doveva giungere al ponte 5 a mezzo gru); a questo scopo egli legava due fasci di tubi con del filo di ferro ed ordinava di sollevare il carico; poi si accorgeva che il carico si muoveva ed ordinava di fermare l’operazione per poi provvedere ad assicurarlo di nuovo; ordinava di issare a bordo, ma il carico, al momento di essere girato dalla gru, iniziava ad oscillare al punto che da uno dei fasci si sfilavano due grandi tubi uno dei quali, cadendo, colpiva proprio l’operaio alla nuca ed alla schiena, procurandogli paraplegia completa degli arti inferiori con conseguenti lesioni gravissime, invalidità permanente e pericolo di vita. Ne conseguiva il giudizio per numerosi imputati e per diverse imputazioni (omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, lesioni personali colpose ed altro ancora)]

2. La responsabilità penale dell’Organismo di vigilanza 231: è ipotizzabile.

Sentenza 7 aprile 2021  n. 10748 del Tribunale penale II sezione di Milano.

Il D.Lgs. 231/2001 prevede che “il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curarne il loro aggiornamento” venga attribuito ad un Organismo esterno alla società. L’Organismo di Vigilanza riveste un ruolo centrale con riferimento al controllo sulla corretta osservanza dei modelli organizzativi adottati dall’ente, e quindi  il Tribunale di Milano sottolinea che l’OdV ha il potere di impedire la commissione dei reati previsti dal Decreto Legislativo 231. È stato contestato all’Organismo di aver “sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti funzionali alla prevenzione dei reati, indisturbatamente reiterati”, e ancora, di aver “assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato”. Più in dettaglio “Nel periodo d’interesse l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débàcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato. Così, purtroppo, non è stato e non resta che rilevare l’omessa (o almeno insufficiente) vigilanza da parte dell’organismo, che fonda la colpa di organizzazione di cui all’art. 6, D.Lgs. n. 231/01. Infine, pare persino superfluo evidenziare come non si sia in alcun modo dimostrata la fraudolenta elusione del modello 231, violato nella generalizzata e diffusa indifferenza. Considerazioni tutte che impongono l’affermazione della responsabilità dell’Ente” In altri termini, dalla sentenza emerge un vero rimprovero nei confronti dell’OdV per non aver impedito gli eventi lesivi di cui ai capi di imputazione.

La difesa dei componenti dell’OdV 231 ha sostenuto che “l’art. 437 cod.pen. punisce soltanto coloro che avevano l’obbligo giuridico di adottare cautele, obbligo che non incombe sul detto organismo in quanto non datore di lavoro, ma soltanto organo – di istituzione facoltativa – preposto alla valutazione dell’architettura astratta di presidi e controlli e non anche alla vigilanza puntuale e quotidiana delle modalità di svolgimento delle attività”. Per altro verso la difesa ha concluso sostenendo che “sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni”, parimenti “ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi”.

Mentre il PM ricorrente ha ribadito “che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze”, ponendo dunque al centro dell’attenzione l’elemento psicologico del reato. Occorre premettere che la decisione della Cassazione che conferma l’assoluzione non rappresenta una adesione alle tesi difensive, ma si muove su un profilo diverso in particolare per quanto riguarda l’OdV 231.

Non viene infatti considerata valida la tesi difensiva per la quale l’OdV 231 non avrebbe potere impeditivo, che non viene in alcun modo confermata. Si sostiene invece, in modo del tutto diverso, che “desta perplessità la configurazione di una responsabilità in capo ai componenti dell’Organismo di Vigilanza basata sul non aver loro portato a conoscenza del Consiglio di Amministrazione le asserite manchevolezze che avrebbero afflitto i cantieri navali: le perplessità sono causate da una inevitabile contraddizione nella quale la ricostruzione della vicenda sembra avvilupparsi, poiché, se – seguendo appunto l’ipotesi di accusa – i citati membri dell’Organismo di Vigilanza nulla avevano riferito ai membri del Consiglio di Amministrazione, è ben difficile ipotizzare una responsabilità in capo a questi ultimi per non avere adottato le cautele che le situazioni di pericolo avrebbero richiesto.   
Parimenti, occorre prendere atto che il ricorso non precisa quali fossero la carenze e le manchevolezze che sarebbero state dolosamente ignorate dai membri dell’Organismo di Vigilanza: né, in particolare, il ricorso afferma che siffatte imprecisate manchevolezze avrebbero riguardato le ceste utili per la sollevazione dei tubi [il Procuratore della Repubblica di Gorizia sostiene che il Consiglio di Amministrazione era informato delle manchevolezze di cautele che caratterizzavano i cantieri navali e che l’Organismo di Vigilanza era ben conscio dei problemi economici con i quali si giustificavano le asserite manchevolezze]”.

La difesa ha concluso per il rigetto del ricorso insistendo, in particolare, sul perimetro delle responsabilità di un Consiglio di Amministrazione, il quale è chiamato ad assumere scelte aziendali di fondo, in un ambito di alta gestione che non può, per natura stessa dell’organismo, inoltrarsi nelle concrete e specifiche lavorazioni; parimenti ha sottolineato che siffatti obblighi non possono attribuirsi all’Organismo di Vigilanza, il quale non è dotato di poteri impeditivi nel caso specifico, ma la Cassazione non avvalla la tesi di una mancanza in via generale di poteri impeditivi da parte dell’OdV laddove sottolinea che l’accusa non ha dimostrato quali carenze e manchevolezze sarebbero state “dolosamente ignorate” dall’organismo di Vigilanza 231; ha rammentato che il processo prosegue nei confronti di altri soggetti, gravati dall’accusa di lesioni personali colpose”.

3. La responsabilità civile dei componenti dell’Organismo di Vigilanza

Risulta indiscutibile e indiscussa la questione relativa ai profili di responsabilità civile, ovvero, all’ipotesi che vi sia una violazione dei doveri incombenti sull’OdV e che da tale violazione derivi un danno all’ente: è indubbio che la nomina dei componenti dell’organismo, che non ha natura di organo endosocietario, dia luogo ad un rapporto contrattuale che consegue alla formalizzazione del conferimento d’incarico e che sorge sia nella circostanza che si tratti di componenti interni all’ente, sia che si tratti di componenti esterni.

Nella sentenza il Tribunale Penale di Milano sent. n. 10748/2021 ha accertato l’omessa vigilanza da parte dell’OdV e l’ha direttamente collegata alla responsabilità da reato dell’ente, osservando tra l’altro che :

l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débâcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato”

Una simile ed inequivocabile sanzione della cattiva condotta dell’OdV fonda sicuramente la possibilità di un’azione civile nei confronti di tutti o alcuni dei suoi membri, mediante la quale i soggetti che si ritengono danneggiati dalla condanna dell’Ente per il reato presupposto potrebbero ottenere un risarcimento dei danni che ne fossero in ipotesi derivati.

Il contratto stipulato con l’ente pone i componenti dell’organismo di vigilanza in una posizione peculiare rispetto a quella che caratterizza altri organi di controllo (segnatamente il collegio sindacale ed i revisori) che essendo istituiti con funzioni di garanzia hanno obblighi e responsabilità predeterminati per legge.

Nel caso dell’ organismo di vigilanza, invece, tale predeterminazione manca poiché il legislatore si limita ad indicare i contenuti minimi del contratto, ovvero, quelli che consentano al modello organizzativo di acquistare una funzione esimente rispetto ad una possibile responsabilità amministrativa dell’ente.

Esclusa perciò l’esistenza di una speciale disciplina a per i doveri e le responsabilità dell’organismo di vigilanza (diversamente da quanto avviene, come si è detto, per i sindaci e i revisori), la responsabilità civile dei componenti dell’organismo di vigilanza può essere individuata ed ascritta all’OdV sulla scorta dei principi generali dell’ordinamento in materia di responsabilità contrattuale ed aquiliana: quindi la responsabilità richiede la presenza di un inadempimento conseguente ad una violazione contrattuale e/o di legge; di un danno cagionato all’ente; di un chiaro nesso causale tra inadempimento e danno.

La natura contrattuale della responsabilità dell’OdV fa riferimento a tre profili:

1. l’esistenza di una responsabilità civile dei componenti dell’organismo di vigilanza deve essere rigorosamente provata, ovvero occorre dimostrare la violazione degli obblighi di vigilanza gravanti sull’organismo (non è configurabile la responsabilità oggettiva). Ovviamente le obbligazioni dall’OdV nei confronti dell’Ente devono essere esattamente qualificate, con quanto ne consegue, quali obbligazioni di mezzi e non di risultato, e, in tal senso, che ai componenti dell’OdV sono richiesti stringenti requisiti di professionalità e nei loro confronti opera l’art. 1176 c.c. che riguarda gli obblighi in materia di diligenza professionale;

2. la legittimazione attiva ad agire nei confronti dell’OdV per il risarcimento del danno compete esclusivamente all’ente che ha nominato l’organismo in quanto effettivo ed unico creditore delle prestazioni dedotta in contratto;

3. l’onere probatorio è ovviamente a carico dell’ente il quale dovrà fornire la prova piena dell’inadempimento dell’organismo di vigilanza e del danno che ne è conseguito. Occorre comunque tenere conto che ai sensi dell’art. 1225 c.c. “Se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione”, e dunque sembra che l’unico danno risarcibile sia quello conseguente alle sanzioni pecuniarie ed interdittive comminate a fronte del reato-presupposto consumato.

Trattandosi di responsabilità contrattuale, potrebbero emergere almeno due ulteriori profili che riguardano l’ eventuale cooperazione colposa dell’ente medesimo nella produzione del danno ex art. 1227, ovvero, ad una possibile attenuazione della responsabilità di taluni dei componenti dell’OdV, sulla base del combinato disposto degli artt. 1292 (ciascun debitore può essere costretto all’adempimento per la totalità della prestazione e in tal caso, l’adempimento da parte di un coobbligato libera tutti gli altri e 1294 c.c. (i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente).

Dunque alle condizioni sopra richiamate è ipotizzabile una responsabilità contrattuale dei componenti dell’organismo di vigilanza. Ma è ipotizzabile una responsabilità extracontrattuale n applicazione dell’art. 2043 c.c. e quindi soggetti terzi indirettamente danneggiati dalla condotta dell’organismo di vigilanza possono agire nei confronti di quest’ultimo per il risarcimento dei danni patiti?

4. Polizza assicurativa responsabilità civile e tutela legale

L’assicurazione di Responsabilità Civile Professionale per modello 231 è rivolta a professionisti che sono chiamati a ricoprire il ruolo di Presidente o componente dell’Organismo di Vigilanza di un ente o di una società strutturata (in genere S.p.a. o grandi s.r.l.).

La polizza 231 per componente dell’OdV  nterviene sia nell’ambito di procedimenti civili, ia penali, sia amministrativi.

Per essere più chiari, cito testualmente da un prospetto assicurativo di un noto broker, “l’assicurazione per membro dell’Organismo di Vigilanza interviene nelle seguenti casistiche:

Qualsiasi procedimento civile intentato contro il Componente di Organismo di Vigilanza, al fine di ottenere un risarcimento economico;

Qualsiasi richiesta scritta da parte di una persona fisica o persona giuridica, con la quale questa persona fisica o persona giuridica intende imputare al Componente di Organismo di Vigilanza la responsabilità delle conseguenze di un qualsiasi comportamento colposo specificato;

Qualsiasi avviso di procedimento penale ove il Componente di Organismo di Vigilanza assuma la veste processuale di indagato;

Qualsiasi procedimento amministrativo o qualsiasi indagine riguardante un qualsiasi comportamento colposo specificato che si presuppone commesso dal Componente di Organismo di Vigilanza”.