Corte di Cassazione Civile, Sez. Lav., del 04/12/2020, n. 27913
Interessante sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sez. Lav., del 04 dicembre 2020, n. 27913 – Lavoratrice mobbizzata dai colleghi. Responsabile il datore che non interviene per tutelarla ex art 2087 c.c.
Il caso
Il Tribunale di Fermo con la sentenza n. 17/2016, depositata il 26.1.2016, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato alla dipendente dalla società datrice di lavoro, disponendo la reintegrazione della stessa e condannando la società al pagamento di una indennità risarcitoria oltre al versamento dei contributi maturati e maturandi.
La Corte territoriale di Ancona, con sentenza pubblicata in data 19 .1. 2018, ha respinto l’appello e in parziale accoglimento dell’appello incidentale della lavoratrice, ha condannato la società al pagamento, in favore di quest’ultima di una somma a titolo di risarcimento, in particolare la Corte di Appello ha osservato che, nella fattispecie, < < assume rilievo il fatto che AG, rappresentante legale della società datrice, sia stato messo al corrente>> dei reiterati < <episodi mobizzanti posti in essere>> nei confronti della dipendente, <<ma non abbia voluto indagare a fondo la questione, né attuare provvedimenti disciplinari idonei a tute lare la situazione problematica prospettatagli dalla R >>; che <<gli atteggiamenti e i comportamenti tenuti dai dipendenti nei confronti della dipendente appaiono idonei ad integrare la fattispecie di mobbing, nei termini sintetizzati dall’ormai costante giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. n. 24358/2017) … sussistendo, nel caso di specie, tanto il requisito oggettivo, quanto quello soggettivo. Il primo, costituito dalla pluralità di atti o fatti, caratterizzati da sistematicità, mentre l’elemento soggettivo risulta provato dall’offensività dei termini utilizzati e delle accuse assolutamente infondate dirette alla lavoratrice, suscettibili di evidenziare la volontà di prevaricazione dei suddetti dipendenti nei confronti della stessa>>; ed inoltre, che <<Nel caso in esame, sebbene il datore di lavoro non si sia reso protagonista diretto delle condotte vessatorie subite dalla R , tuttavia lo stesso non può andare esente da responsabilità rispetto ai propri obblighi di tutela previsti dall’art. 2087 c.c.. Il datore, in particolare, … non ha mai reagito a tutela dell’integrità morale di quest’ultima> > (v. pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata).
La decisione della Suprema Corte
La Cassazione ritiene sussistere la responsabilità del datore di lavoro alla luce di quanto previsto dall’art 2087 c.c., riportiamo i passi più significativi in tal senso della sentenza:
“ … Inoltre, occorre sottolineare, alla stregua dei consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 10145/2017; 22710/2015; 18626/ 2013; 17092/2012; 13956/2012), che la responsabilità datoriale per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, nell’ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all’art. 2087 c.c., costituente norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione e che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure che, avuto anche riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori (cfr., tra le molte, Cass. nn. 27964/2018; 16645/2003; 6377/2003) …”
“ … 4.4. Il quarto motivo non può essere accolto, poiché, in realtà, come sottolineato in narrativa, la Corte di merito ha esaminato e valutato il fatto che il datore di lavoro fosse o meno al corrente <<dei comportamenti assunti come mobizzanti> > (v. pag. 15 della sentenza impugnata) ed al riguardo ha osservato che < < Nel caso in esame, sebbene il datore di lavoro non si sia reso protagonista diretto delle condotte vessatorie subite dalla R , tuttavia lo stesso non può andare esente da responsabilità rispetto ai propri obblighi di tutela previsti dall’art. 2087 c.c.. Il datore, in particolare, anche con riferimento all’episodio del luglio 2 07, sebbene avesse udito le grida e sebbene fosse stato informato tanto dal R quanto dall’appellata, non ha mai reagito a tutela dell’integrità morale di quest’ultima>> ed altresì che < <Appare, inoltre, inverosimile che lo stesso non fosse a conoscenza dei comportamenti tenuti dalla dipendente I , in quanto molte circostanze gli sono state riferite direttamente dalla R > >. Con ciò, implicitamente sottolineando la posizione di ” garante” che spetta inderogabilmente al datore di lavoro. Al riguardo, è altresì da osservare che la dottrina e la giurisprudenza più attente hanno sottolineato come le disposizione della Carta costituzionale abbiano segnato anche nella materia giuslavoristica un momento di rottura rispetto al sistema precedente “ed abbiano consacrato, di conseguenza, il definitivo ripudio dell’ideale produttivistico quale unico criterio cui improntare l’agire privato”, in considerazione del fatto che l’attività produttiva – anch’essa oggetto di tutela costituzionale, poiché attiene all’ iniziativa economica privata quale manifestazione di essa (art. 41, primo comma, Cost.) – è subordinata, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, alla utilità sociale che va intesa non tanto e soltanto come mero benessere economico e materiale, sia pure generalizzato alla collettività, quanto, soprattutto, come realizzazione di un pieno e libero sviluppo della persona umana e dei connessi valori di sicurezza, di libertà e dignità. Da ciò consegue che la concezione “patrimonialistica” dell’individuo deve necessariamente recedere di fronte alla diversa concezione che fa leva essenzialmente sullo svolgimento della persona, sul rispetto di essa, sulla sua dignità, sicurezza e salute – anche nel luogo nel quale si svolge la propria attività lavorativa -; momenti tutti che “costituiscono il centro di gravità del sistema” ponendosi come valori apicali dell’ordinamento, anche in considerazione del fatto che la mancata predisposizione di tutti i dispositivi atti a tutelare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro viola l’art. 32 della Costituzione che garantisce il diritto alla salute come primario ed originario dell’ individuo, ed altresì l’art. 2087 c.c. che, imponendo la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore da parte del datore di lavoro prevede un obbligo, da parte di quest’ultimo, che non si esaurisce “nell’adozione e nel mantenimento perfettamente funzionale di misure di tipo igienico-sanitarie o antinfortunistico”, ma attiene anche – e soprattutto – alla predisposizione “di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesioni di quella integrità nell’ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio… “